
Biogas Bellaria, una questione divisiva
Mi ero riproposto di non intervenire in questa campagna elettorale. Però, purtroppo, quando mi sottopongono certi interventi, non posso astenermi dall’esprimere il mio punto di vista.
Leggo un post di un candidato della seconda lista per le comunali di Acqualagna (qui uno screenshot):
Il tema è così vasto e mutevole che cercare di liquidarlo con questi goffi interventi nella stampa, e poi attraverso dei comunicati infantili non porta certo giovamento alla reputazione di chi lo scrive.
La favola del biometano, è quella che ci racconta una certa politica da qualche anno, ma che ormai anche i bambini sanno essere una bufala.
Primo punto,
il metano è uno dei più potenti gas serra. Dopo la CO2 è il secondo principale responsabile del surriscaldamento globale. Bruciare 1Kg di metano produce 2,75Kg di CO2.
Secondo punto,
per produrre energia elettrica dalla combustione del metano se ne perde gran parte in calore, l’efficienza MASSIMA di un generatore a combustione interna a biogas è del 40%, significa che ogni kWh di energia equivalente, solo 400Wh entrano in rete, nella migliore delle ipotesi.
Terzo punto,
per merito di svariate politiche energetiche applicate negli ultimi 2 anni, il PUN (Prezzo Unico Nazionale) dell’energia elettrica è sceso a 0,098€/kWh. Ma questo è il prezzo che paghiamo per acquistare energia, se la vendiamo, si applica il Prezzo Zonale Orario, gli impianti a biomasse e biogas invece hanno un prezzo minimo garantito atto a garantire la sopravvivenza dei piccoli impianti (una marchetta quindi) che per i primi 2.000.000 di kWh è pari a 110,00 euro per MWh.
Se consideriamo che il Prezzo Zonale Orario del ritiro dedicato è prossimo allo zero, e addirittura quest’anno è risultato diverse volte negativo, si capisce come il garantito agli impianti a biogas provenga dalle accise delle nostre bollette.
In definitiva, un impianto da 1MW come quello di Bellaria, può produrre fino a 8GWh annui di energia elettrica, che fruttano all’azienda circa 900.000€ annui, di energia NON pulita (produce CO2) e sopratutto NON economica paragonandola alla produzione fotovoltaica (ad esempio).
Quarto punto,
L’impianto di Bellaria era nato per “digestare” solamente le frazioni organiche vegetali, quali mais, scarti di foraggio, insilato di mais, insilato di erba medica/trifoglio, stocchi di mais scarti vegetali da agricoltura in genere.
Un impianto come quello di Bellaria deve “digerire” almeno 18.000 tonnellate annue di materiale organico. Che se fossero di sola frazione organica VEGETALE sarebbe già una bella scommessa.
Infatti nei primi anni di funzionamento, l’impianto non ha prodotto problemi particolari di emissioni odorigene (a detta degli abitanti della zona).
Ad un certo punto, probabilmente in seguito ad atti autorizzativi, è stata cambiata la dieta del digestore, da quel momento in poi fu possibile alimentare l’impianto anche con frazione organiche di origine ANIMALE.
Per chiarezza, oggi, nella assoluta legalità, è possibile inserire quasi la totalità degli scarti di lavorazione del settore zootecnico e agroalimentare, come anche alcune frazioni organiche dei rifiuti urbani.
Un aspetto fondamentale del biogas è il fatto che può essere prodotto utilizzando tipologie diversissime di materiali organici liquidi e solidi, dalle deiezioni animali fino agli scarti delle aziende agro-industriali.
Ecco alcuni tipi di biomassa dai quali è possibile ricavare biogas:
• Liquame bovino
• Liquame suino
• Deiezioni avicole
• Scarti di macellazione
• Residui colturali
• Colture energetiche
• Scarti organici dell’agro-industria
• Fanghi di depurazione
• Frazione organica dei rifiuti urbani
Particolarmente interessante è la codigestione (cioè la digestione contemporanea in unico impianto) di liquami zootecnici e di colture energetiche o di altre tipologie di scarti.
Fatta questa premessa, occorre capire il perchè un’azienda che gestisce un impianto di biodigestione e cogenerazione sia interessata ad utilizzare anche le frazioni organiche di origine animale. Le risposte sono due, il RENDIMENTO e l’ECONOMICITA’ del materiale organico.
A parità di energia prodotta, l’utilizzo di alcune frazioni organiche vegetali particolari come i residui oleari dei frantoi, o gli oli alimentari esausti (oli vegetali puri tracciabili attraverso il sistema integrato di gestione e di controllo previsto dal regolamento CE n. 73/09 del Consiglio Europeo del 19 gennaio 2009), sono a più buon mercato, anzi, sotto certi aspetti il loro smaltimento può risultare una pratica conveniente.
Stessa sorte per i liquami zootecnici, come i liquami bovini e suini e la pollina dei volatili. Questi particolari materiali organici, in assenza di un trattamento di biodigestione, diventerebbero rifiuti speciali, quindi soggetti ad alti costi di smaltimento.
Trattare questi materiali nell’ambito delle filiere agricole, ne fa prendere altre connotazioni e quindi costi nettamente inferiori di conferimento.
Come già detto, tutte cose legali e alla luce del sole.
Quinto punto,
qui si comincia a capire come le teorie espresse nei post e nei commenti siano campate per aria. Il problema maggiore di un impianto di biodigestione non è la dieta o il metano prodotto, ma il digestato, ovvero quel risultato di scarto che esce alla fine del processo di biodigestione.
Tale prodotto è composto da una frazione solida, che viene separata e venduta come concime (in pellet) ed una frazione liquida, che è appunto il biodigestato che non ha nessun valore commerciale, ma anzi, costituisce uno dei maggiori costi di gestione di un impianto di biogas.
La composizione del digestato è fortemente condizionato dalla dieta dell’impianto e dal processo di conduzione. Una cosa certa è che il contenuto di composti azotati cresce notevolmente con la dieta a base di frazione organica animale.
I composti azotati, sono i principali componenti della frazione odorosa del digestato, nel contempo costituiscono il principale motivo dell’eccesso di nitrati presenti. Siccome il digestato per regola va disperso nei campi intorno all’impianto e poi sotterrato, l’eccesso di contenuti azotati potrebbe provocare fenomeni di sovraccarico dei terreni, rendendoli incapaci di fissare la frazione azotata e quindi permettere potenzialmente la dispersione dei nitrati sulle falde acquifere sottostanti.
Infatti, i moderni biodigestori, sono dotati di appositi impianti di nitro-denitro; che sono delle particolari vasche di decantazione dove i batteri e il trattamento meccanico permettono di abbattere fortemente il contenuto azotato prima che venga disperso e sotterrato nei campi limitrofi.
Conclusioni,
Purtroppo mi sono trovato costretto a esporre questo punto di vista perchè, come già detto in svariate occasioni, l’argomento biogas non può e non deve essere trattato in campagna elettorale. Le decisioni che potranno essere prese necessitano di una accurata analisi dei dati e conoscenza delle problematiche specifiche.
L’unica via per me perseguibile è quella della collaborazione con gli abitanti coinvolti nel definire un protocollo di sorveglianza, e solo dopo un periodo sufficientemente lungo si potranno stabilire le misure da adottare.
L’unica cosa certa però è che un impianto di biodigestione e produzione biogas, NON COSTITUISCE NESSUNA OPPORTUNITA’ per il territorio, per l’industria o per l’ambiente, anzi, rientra tra quelle attività disturbanti, ma che siamo comunque obbligati entro certi limiti ad autorizzare compatibilmente al diritto di stabilire liberamente impresa da parte degli imprenditori. Tutti vorremmo non avere vicino casa nessuna di queste attività, ma data la sua attuale esistenza, non resta che attuare un serio piano di intervento, senza proclami o prese di posizione.